Le mille battaglie della Fiorentina: il ruolo storico del club viola, troppo spesso finito contro il muro del calcio italiano
Nella storia della Fiorentina c’è un po’ da sempre quello della realtà media con ambizioni di grandezza e con la volontà di andare a spodestare i colossi, da tradizione un po’ “più uguali degli altri” anche a livello di regolamenti e tutele di vario tipo. L’arringa di Rocco Commisso non è la prima ed anzi fa il paio (o il trio, se vogliamo) con quelle delle due proprietà precedenti: Cecchi Gori e Della Valle.
Per il produttore-senatore, tra manie di protagonismo e di grandezza, c’era la volontà di andare contro a chi in Italia spadroneggiava a livello politico come Silvio Berlusconi, presidente allora del Milan. E tra imprenditori del piccolo e del grande schermo, non poteva che crearsi un dissidio sui nascenti diritti tv del calcio italiano. Lo stesso argomento che causò non pochi malumori anche ai primi Della Valle, non tanto per il possesso o la distribuzione, quanto per l’equità della suddivisione dei proventi.
La seconda metà degli anni ’90 e il 2004, l’anno del ritorno in A: due fasi di battaglie per la Fiorentina, di lotte contro il potere precostituito, finite l’una nel fallimento e l’altra in Calciopoli. Non per conseguenze dirette magari ma certamente con dosi di giustizialismo senza pari, visti i trattamenti di favore su citati, riservati ad altri club.
Oggi è il turno di Commisso, più solido di Cecchi Gori, meno coinvolto politicamente di Della Valle, ma sempre nella stessa direzione ostinata e contraria. Si parla quasi di massimi sistemi, cioè di regolamenti che potenzialmente riguarderebbero tutto il mondo del calcio e toccano addirittura la Fifa, sperando stavolta di trarne beneficio.