Un bel discorso, ma senza mai arrivare al punto: la metafora di Ikoné, alla lunga ricerca della via del gol che non gli appartiene
L’avventura di Jonathan Ikoné alla Fiorentina è una storia di una lunga attesa del suo definitivo salto di qualità, ad oggi ancora non pervenuto. Il francese ha dimostrato consistenti tratti di discontinuità, riuscendo a far percepire solo parzialmente i suoi mezzi tecnici alla piazza. Il tallone d’Achille principale rimane il gol, con sole 4 reti in 56 partite con la maglia viola. Numeri che riflettono il rapporto conflittuale tra il numero 11 e la porta.
Il rendimento di Ikoné è generalmente sotto le aspettative, con qualche piacevole picco, come le gare contro l’Inter a ottobre o contro il Torino in Coppa Italia. E anche recentemente, nella semifinale d’andata a Cremona, scorgendo al di là delle occasioni fallite, si erano intravisti alcuni spunti positivi e una presenza maggiore rispetto al solito. Praticamente il contrario di quanto visto nell’ultima uscita contro lo Spezia, dove il francese viene dominato dalla sua solita confusione.
Che i gol non siano nelle sue corde, è piuttosto evidente ed era già un fattore noto dal principio: basta dare un’occhiata alle statistiche della sua intera carriera, dove le reti realizzate sono pochissime, in relazione al numero di partite e al ruolo occupato in campo. Ma pur consapevole di questa sterilità offensiva, la Fiorentina ha deciso ugualmente di puntarci per ben altre qualità, come la facilità nel dribblare l’avversario, soprattutto nell’uno contro uno.
Ebbene, il messaggio è arrivato: il francese ha grandi capacità, ma messe in pratica a sprazzi e non improntate a ciò che servirebbe di base, ovvero la chiusura dell’azione offensiva (non esattamente un dettaglio). Ikoné è come un discorso bello e articolato, che però gira intorno al punto senza mai arrivarci; le sue giocate, in effetti, sono apprezzabili e fanno evincere i suoi validissimi mezzi tecnici, ma anche un modo di fare estremamente lezioso e poco affine con la concretezza.
Il rendimento di Ikoné è generalmente sotto le aspettative, con qualche piacevole picco, come le gare contro l’Inter a ottobre o contro il Torino in Coppa Italia. E anche recentemente, nella semifinale d’andata a Cremona, scorgendo al di là delle occasioni fallite, si erano intravisti alcuni spunti positivi e una presenza maggiore rispetto al solito. Praticamente il contrario di quanto visto nell’ultima uscita contro lo Spezia, dove il francese viene dominato dalla sua solita confusione.
Che i gol non siano nelle sue corde, è piuttosto evidente ed era già un fattore noto dal principio: basta dare un’occhiata alle statistiche della sua intera carriera, dove le reti realizzate sono pochissime, in relazione al numero di partite e al ruolo occupato in campo. Ma pur consapevole di questa sterilità offensiva, la Fiorentina ha deciso ugualmente di puntarci per ben altre qualità, come la facilità nel dribblare l’avversario, soprattutto nell’uno contro uno.
Ebbene, il messaggio è arrivato: il francese ha grandi capacità, ma messe in pratica a sprazzi e non improntate a ciò che servirebbe di base, ovvero la chiusura dell’azione offensiva (non esattamente un dettaglio). Ikoné è come un discorso bello e articolato, che però gira intorno al punto senza mai arrivarci; le sue giocate, in effetti, sono apprezzabili e fanno evincere i suoi validissimi mezzi tecnici, ma anche un modo di fare estremamente lezioso e poco affine con la concretezza.
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