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Mai sparare sentenze prima che lo faccia l’aritmetica, ma la Fiorentina ha le coppe come unica ancora di salvezza. Perché le aspettative di inizio stagione sono ad oggi disilluse. Per quanto la maggior parte dei messaggi lanciati sugli obiettivi siano stati allusivi e non espliciti, la linea tracciata era chiara: fare meglio della scorsa annata. Nella posizione attuale, a undici lunghezze dalla zona europea, non è complicato dedurre che l’intento prefissato è più che mai lontano.

Torniamo a un anno fa, dove nell’arco di circa sette mesi la Fiorentina ha preso decisioni forti, fortissime, esponendosi al rischio per quanto riguarda la maggior parte delle proprie scelte. La piazza ha concesso il beneficio del dubbio, ma non tutto fila liscio come l’olio. L’addio di Vlahovic a metà della stagione più esaltante dell’era Commisso non ha decretato definitivamente la rottura, data la comprensione di particolari dinamiche del caso (e una cifra irripetibile). Piuttosto, quanto accaduto nel periodo successivo fa emergere più di qualche perplessità.

Il mercato estivo è il trionfo dei dubbi, già di partenza. Non tanto nel salutare Odriozola sostituendolo con Dodô: diciamocelo, sulla carta è un’operazione molto interessante, così come il brasiliano, anche se il campo sta raccontando tutt’altro e sarebbe folle negarlo. Quanto, invece, nel salutare Torreira sostituendolo con Mandragora, giusto per citare un esempio. Quanto nell’esporsi costantemente a un rischio evitabile che ha comportato alle conseguenze che si vedono oggi, ovvero una Fiorentina che è quanto di più distante dalla bella Viola ha incantato la Serie A l’anno scorso. Parlano anche i punti, perché quest’anno, a diciotto partite giocate, la squadra di Italiano ne ha otto in meno. Parla il campo, infatti, fedele giudice e primissima rappresentazione della realtà.

Considerando tutti i fattori che hanno portato la Fiorentina in questa condizione, non possono certo essere esclusi limiti e sbagli dei giocatori e dell’allenatore, come si considerano quelli della dirigenza. Non si spiegherebbe, altrimenti, una stagione ben al di sotto delle aspettative, nonostante la programmazione più volte sottolineata prevedesse altri risultati. La percezione generale, tuttavia, non lascia ben sperare.

Come si può ripartire al meglio se non riconoscendo i propri errori? Porsi davanti agli sbagli per analizzarli e per riprovarci è il primo passo da fare. Sul piano teorico e fantasioso è tutto molto bello, ma l’assenza di esempi storici per quanto riguarda l’autocritica non fa scattare automaticamente questo meccanismo. I fatti raccontano che, tolti 270 minuti a febbraio tra Coppa Italia e Conference (sperando che si prolunghino), la Fiorentina è ripiombata nella mediocrità e in un campionato senza obiettivi. Per non rendere un’illusione quell’Europa che tanto si voleva raggiungere anche in questa occasione, serve ben altro. A quanto detto, il dolce vivacchiare non sta bene a nessuno.

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