All’interno dell’edizione odierna di Sportweek, inserto de La Gazzetta dello Sport, è apparsa una lunga intervista all’attaccante del Genoa Mateo Retegui, recentemente avvicinato alla “nuova” Fiorentina di Raffaele Palladino. Queste le sue dichiarazioni:

“È sempre un orgoglio vestire la maglia della Nazionale e voglio difenderla fino alla morte. L’esordio non è andato come speravo, perché sono uno che vuole vincere sempre. Penso che tutto quello che ci succede sia frutto del destino. Per esempio, la mia prima partita in Nazionale l’ho giocata al Diego Armando Maradona di Napoli, e tutti sapete cosa significhi Maradona per noi argentini. Ho esordito e ho pure segnato, a un avversario forte come l’Inghilterra. Se non è destino questo. La mia storia è tutto un incastro di coincidenze, come se qualcuno l’avesse scritta per me. Il primo incontro con Mancini? Arrivai a mezzanotte e lui mi stava aspettando. “Lo sai perché sei qui?”. “Per giocare”. “Per giocare, sì, ma soprattutto per fare gol”. “Perfetto, io vivo per quello”. Con Inghilterra e Malta mi ha dato fiducia, e io l’ho ripagato con due gol”.

“Spalletti ha una personalità fortissima, Mancini a confronto..”

Ha poi parlato dell’attuale c.t., Luciano Spalletti: “Ha una personalità fortissima, ha il sangue caldo come me. Siamo due competitivi che hanno la vittoria in testa. Rispetto a lui, Mancini era un po’ più tranquillo. Con un nuovo tecnico aumenta la competizione tra i giocatori. Se Scamacca parte avvantaggiato? Io so di dover restare tranquillo, tenere i piedi a terra e lavorare, perché sono molto esigente con me stesso e posso migliorare in tutto. Scamacca ha grandissime qualità per giocare insieme anche ad altri attaccanti, ma non mi piace fare paragoni tra me e lui”.

“Mi aspettavo la chiamata dell'Argentina, ma quando è arrivata la chiamata dell'Italia non ho esitato”

Qualche parola anche sulla nazionale argentina, e sulle sue reali possibilità di essere convocato da Scaloni prima della chiamata azzurra: “Non posso rispondere, perché non mi ha mai chiamato. Pensavo sinceramente lo facesse, perché in Argentina avevo segnato tanto, invece a telefonarmi è stato Mancini e non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Ho preso il primo aereo e mi sono presentato”.

“Il calcio è fatto di alti e bassi: devo ringraziare la mia famiglia”

Ha poi concluso: “Il calcio è un mondo molto difficile: un giorno sei molto in alto. Il giorno dopo sprofondi. Le persone che hai intorno, quelle che compongono la tua famiglia, diventano molto importanti. In Argentina ho giocato in quattro squadre: nel Boca, il club più importante ma con cui sono sceso in campo solo una volta; nell’Estudiantes e poi nel Talleres e nel Tigre. In qualcuna di queste squadre non è andata bene, e in questi casi l’aiuto della famiglia è stato fondamentale perché non sbandassi e continuassi invece a camminare a testa alta. Così a Genova: appena arrivato tutto era molto bello, perché giocavo e facevo gol. Poi sono arrivati due infortuni al ginocchio che mi hanno fatto male anche nella testa. I miei sono arrivati in Italia per starmi vicino: avevo paura e loro mi coccolavano e parlavano tanto. “Dai, Mateo, ce la fai, tu puoi”, ripetevano. Non smetterò di ringraziarli”.

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