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La bandiera viola Giancarlo Antognoni, da poche settimane ex dirigente della Fiorentina, ha rilasciato una lunga intervista a Il Tirreno toccando varie tematiche,  a cominciare dalla sua In piazza con gli operai della Gkn di Campi Bisenzio per protestare contro i licenziamenti fino al rapporto con il club gigliato

Una nuova vita per Giancarlo Antognoni? "Né nuova, né vecchia. È semplicemente la mia vita, la storia di un uomo libero che non sopporta le ingiustizie. Sapere che sono stati licenziati quattrocentotrenta operai senza un vero motivo, con la freddezza di una mail, mi ha turbato profondamente. Ho pensato a quelle famiglie, al dramma che stanno vivendo. Mi sono chiesto se io, un ex calciatore famoso, che ha avuto tanto, potesse fare qualcosa e quel qualcosa ho fatto. Un gesto, ma sono contento se la mia sola presenza alla manifestazione ha contributo in qualche modo a far parlare di più di questa triste vicenda".

Qualcosa di inusuale, lo ammetterà. Soprattutto perché arriva da un mondo come quello del calcio molto distante dai problemi di tutti i giorni. È pronto a fare politica? "Non scherziamo e soprattutto non equivochiamo. La politica non mi ha mai interessato, ne sono assolutamente fuori e ci tengo a esserlo. Nel passato molti partiti mi hanno offerto candidature, ho sempre risposto allo stesso modo: appartengo a tutti e ne sono fiero. Non posso rappresentare una sola parte, deluderei tanti di quelli che fino a oggi mi sono sempre stati vicini con grande affetto. Non confondiamo la politica con un gesto di solidarietà e umanità».

Può essere che in questi giorni lei sia particolarmente sensibile dopo aver perso il lavoro alla Fiorentina? "Ho sempre partecipato alla vita di Firenze, della Toscana. Chi mi conosce lo sa benissimo, non mi sono mai tirato indietro, ma è solo un modo per ricambiare in minima parte quello che ho ricevuto in cinquant’anni. Sono arrivato alla Fiorentina da ragazzino, era il 1972, avevo diciotto anni, mi hanno adottato: sono toscano anch’io. Mi sono sempre sentito a casa, questa gente è la mia gente e per loro io ci sono sempre».

Non s’è mai pentito di non essere andato in una squadra più forte? Le occasioni le ha avute, avrebbe potuto vincere e guadagnare di più. "Mai. Neppure una volta e sottolinei pure il mai. E ora, nella maturità, mi rendo conto sempre di più, ogni giorno che passa, di aver fatto la scelta giusta. I soldi e il successo sono solo una parte della vita, ci sono cose che contano di più come l’amore, il rispetto, i valori umani. Io non ho tradito la gente che tifava per me e adesso raccolgo i frutti. Oggi sento attorno lo stesso affetto di quando giocavo, anche di più. Non è cambiato niente. Allora vuol dire che al calciatore, all’idolo, hanno sostituito l’uomo. E questo credo sia straordinario".

Si è chiesto perché? "Per la mia normalità? Forse. La mia disponibilità? Anche. Perché esprimo un forte senso di appartenenza? Sicuro. Ma torno al discorso dei valori, quello per cui vado più fiero. La gente è molto attenta, ti osserva, ti segue e ti valuta. Guardano come ti comporti, cosa fai, come ti rapporti con gli altri in campo e fuori dal campo. Penso di non avere mai deluso nessuno perché ho sempre seguito i principi morali che mi hanno insegnato i miei genitori. Oggi mi festeggiano ragazzi che non mi hanno mai visto giocare, molti non erano ancora nati quando ho vinto il Mondiale. Ero il campione per i nonni e pensare di esserlo anche per i nipoti sinceramente mi riempie d’orgoglio. Essere un esempio per i giovani conta molto più di tanti gol".


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