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Invitata al ballo delle “grandi” dopo tanto tempo, la Fiorentina ha risposto solo parzialmente. La stagione viola, almeno fino a questo momento, è stata strana e intricata, non senza insidie o problemi, di conseguenza non pienamente convincente. Un percorso simile a quello di un ottovolante: un costante saliscendi che sa di discontinuità. Si farebbe un grave errore, tuttavia, a sottovalutare questi ultimi due mesi, che aprono scenari tanto impensabili quanto appetibili. L’unica certezza della particolare annata della Fiorentina è che il percorso dei gigliati è in tutto e per tutto quello di mister Vincenzo Italiano.

L’allenatore della Fiorentina si affaccia alla nuova stagione, che corrisponde alla sua prima esperienza europea, consapevole di dover imparare a gestire gli impegni distribuiti su tre competizioni. D’altronde, per credere in toto in un progetto che prevede un tecnico con poca esperienza, ci si deve prendere la responsabilità di crescere con lui e di lasciarlo operare, talvolta sbagliando. La Viola, infatti, segue il suo allenatore, che secondo comprensibili previsioni commette più di qualche errore. Un settembre ai limiti dell’accettabile e un ottobre in leggera ripresa (ma pur sempre traballante) sono la prova di una moltitudine di fattori che non hanno permesso un buon avvio, tra cui anche un po’ di imprecisione di Italiano nelle scelte.

Il tecnico viola cambia interpreti, cambia modo di giocare e di approcciare alle partite, cambia anche modulo, un qualcosa di estremamente inusuale da parte sua. Trovare il bandolo della matassa, specialmente quando si è stati costretti a ripartire da un collettivo quasi del tutto nuovo, non è un’operazione che si compie con uno schiocco di dita. Novembre, tuttavia, sembra essere il nuovo punto di partenza per un cammino diverso; per l’appunto, arriva la maxi-sosta per i Mondiali a interrompere un ottimo momento. E anno nuovo, vita nuova (purtroppo): le sensazioni positive durante il mese e mezzo di stop vengono infrante a gennaio, dove la Fiorentina raccoglie briciole e nulla più.

Fino a circa metà febbraio, l’unica ancora di salvataggio è la Coppa Italia, dove la squadra gigliata non sforna chissà quali prestazioni monstre, ma approda in semifinale e tiene accesa una fiammella di ambizione. Che in quel momento, però, è annebbiata da una potente negatività che circonda squadra e piazza. La Fiorentina non sa più vincere, è intrappolata in un buco nero, probabilmente dettato anche da qualche infortunio di troppo, ma pur sempre inammissibile. Una squadra persa, una classifica indecorosa, ma soprattutto un’apatia preoccupante. Anche da parte di Italiano stesso.

Serve una svolta emotiva, che arriva in Conference League. Lo 0-4 di Braga è un’oasi in mezzo al deserto, ma soprattutto è il giusto carburante per ingranare la marcia e regalarsi un marzo di fuoco. Saranno otto vittorie in nove partite e, attualmente, la Fiorentina è a sette successi consecutivi. Decisamente un’altra storia, così come per quanto riguarda l’allenatore. È un altro Italiano: quello che Firenze aspettava da quasi un anno, quello che durante le partite salta e corre nella sua area tecnica come se stesse giocando lui, quello che ha fame di successi.

Cosa emerge da questa storia e dall’indissolubile connessione Fiorentina-Italiano? La stagione corrente si articola su tre punti principali: scelte tecniche, dove il mister ha vacillato per mesi per poi trovare la quadra, rosa a disposizione (non del tutto congeniale alle sue caratteristiche) e coinvolgimento emotivo. Un cammino di pari passo che dimostra, nel bene e nel male, la centralità dell’allenatore nel progetto dell’attuale Fiorentina. Che adesso ha ancora due coppe da giocarsi e nessuna intenzione di arrendersi. Firenze non vince da oltre vent’anni, Italiano non ha mai alzato un trofeo. Anche la scarsa abitudine alla frequente vittoria è un fattore in comune, nella speranza che lo sarà anche una coppa vinta nell’incredulità generale.

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