Italiano: "La mano dell'allenatore è fondamentale all'interno di una squadra. Pensa 24 ore al giorno a fare punti senza snaturare idee e principi". Il credo del tecnico in pectore della Fiorentina
“Perché faccio l’allenatore?” Molti tra i miei colleghi, me compreso, si sono almeno una volta posti questa domanda; cosa mi muove, mi spinge a proporre dei concetti in campo piuttosto che altri? Cosa mi ha influenzato e mi influenza tuttora?". Da questi quesiti, da questi interrogativi prende il via la tesi che l'allenatore della Fiorentina in pectore, Vincenzo Italiano, ha scritto per il giorno in cui ha superato il corso da allenatore a Coverciano.
Parole interessanti che fanno capire meglio che tipo di personaggio è il tecnico che ha condotto lo Spezia a raggiungere un'insperata salvezza nel corso dell'ultimo campionato di Serie A: "Sin dai primi anni nei professionisti come calciatore, ho avuto la fortuna di avere degli allenatori che mi hanno affascinato per le loro idee, il loro carisma, il loro coraggio, e questo ha suscitato in me calciatore qualcosa che mi ha spinto a dare di più, a rendere sempre meglio, a sentirmi più responsabilizzato nel bene e nel male. Il destino ha voluto che in alcune stagioni, la squadra in cui mi trovavo era stata costruita ad esempio per una salvezza tranquilla, per poi invece ritrovarsi in cima alla classifica o comunque ottenendo risultati che andavano oltre le aspettative; ci ritrovavamo a passare da giocatori partiti nell’anonimato, a giocatori “esplosi” a fine stagione, che acquisivano valore e proseguivano le proprie carriere a livelli sempre più alti".
E ancora: "Dal mio punto di vista non si trattava soltanto di un gruppo di giocatori ben selezionati e amalgamati fra loro (fattore comunque fondamentale), ma soprattutto grazie ad allenatori, nonostante magari la giovane età o al primo/secondo anno in una certa categoria, in grado di dare una precisa organizzazione di gioco, un’identità chiara alla propria squadra. Per quanto mi riguarda, tutto ciò mi piaceva, mi faceva sentire un calciatore migliore, con più autostima, più “organizzato” mentalmente e quindi più sereno nel dover affrontare le situazioni di gioco, più pronto. Ad un certo punto mi sono detto: “è così che mi piacerebbe fare, un giorno, da allenatore”.
Le conclusioni di Italiano sono: "La mano dell’allenatore è fondamentale per avere un certo tipo di gestione ed organizzazione in campo e fuori. Già da quegli anni quindi, devo dire in maniera del tutto naturale, ho maturato grandissimo interesse verso la figura dell’allenatore, inizialmente pensando che non avesse comunque una grossa percentuale di “incisività”, per poi ricredermi con il trascorrere delle stagioni...L’allenatore pensa “h24” alla squadra, alla metodologia di lavoro, alle sorti di un campionato (raggiungimento di obiettivi), l’inevitabile ansia di fare punti, senza mai snaturarsi nelle proprie idee o principi, semmai capire quando è necessario porre “accorgimenti”, creare nuovi adattamenti, capire i segnali che la squadra ti manda direttamente o indirettamente. Gestire le esigenze del proprio club, con i loro dirigenti, presidenti, perché no…i tifosi. Spiegare allo stesso modo cosa va e cosa non va. Insomma un altro mestiere, “un altro sport”: stesso ambiente, interpretazioni diverse".
Parole interessanti che fanno capire meglio che tipo di personaggio è il tecnico che ha condotto lo Spezia a raggiungere un'insperata salvezza nel corso dell'ultimo campionato di Serie A: "Sin dai primi anni nei professionisti come calciatore, ho avuto la fortuna di avere degli allenatori che mi hanno affascinato per le loro idee, il loro carisma, il loro coraggio, e questo ha suscitato in me calciatore qualcosa che mi ha spinto a dare di più, a rendere sempre meglio, a sentirmi più responsabilizzato nel bene e nel male. Il destino ha voluto che in alcune stagioni, la squadra in cui mi trovavo era stata costruita ad esempio per una salvezza tranquilla, per poi invece ritrovarsi in cima alla classifica o comunque ottenendo risultati che andavano oltre le aspettative; ci ritrovavamo a passare da giocatori partiti nell’anonimato, a giocatori “esplosi” a fine stagione, che acquisivano valore e proseguivano le proprie carriere a livelli sempre più alti".
E ancora: "Dal mio punto di vista non si trattava soltanto di un gruppo di giocatori ben selezionati e amalgamati fra loro (fattore comunque fondamentale), ma soprattutto grazie ad allenatori, nonostante magari la giovane età o al primo/secondo anno in una certa categoria, in grado di dare una precisa organizzazione di gioco, un’identità chiara alla propria squadra. Per quanto mi riguarda, tutto ciò mi piaceva, mi faceva sentire un calciatore migliore, con più autostima, più “organizzato” mentalmente e quindi più sereno nel dover affrontare le situazioni di gioco, più pronto. Ad un certo punto mi sono detto: “è così che mi piacerebbe fare, un giorno, da allenatore”.
Le conclusioni di Italiano sono: "La mano dell’allenatore è fondamentale per avere un certo tipo di gestione ed organizzazione in campo e fuori. Già da quegli anni quindi, devo dire in maniera del tutto naturale, ho maturato grandissimo interesse verso la figura dell’allenatore, inizialmente pensando che non avesse comunque una grossa percentuale di “incisività”, per poi ricredermi con il trascorrere delle stagioni...L’allenatore pensa “h24” alla squadra, alla metodologia di lavoro, alle sorti di un campionato (raggiungimento di obiettivi), l’inevitabile ansia di fare punti, senza mai snaturarsi nelle proprie idee o principi, semmai capire quando è necessario porre “accorgimenti”, creare nuovi adattamenti, capire i segnali che la squadra ti manda direttamente o indirettamente. Gestire le esigenze del proprio club, con i loro dirigenti, presidenti, perché no…i tifosi. Spiegare allo stesso modo cosa va e cosa non va. Insomma un altro mestiere, “un altro sport”: stesso ambiente, interpretazioni diverse".
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