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Qualcuno se lo ricorderà, un Lecce-Fiorentina 0-1 nel maggio del 2012. La penultima giornata di quel campionato di Serie A fu decisa da un gol di Alessio Cerci, probabilmente la rete più importante della sua avventura in viola. Quel pomeriggio, avvolto da dramma e liberazione, significava solo una parola: “salvezza”. In generale, nell’ultimo decennio, le trasferte in Salento hanno spesso rappresentato sfide da bassa classifica.

Questo non è esattamente il caso che attende la Fiorentina domani. La quattordicesima posizione è sì insoddisfacente, specie se si guardano aspettative e valore della rosa, ma non mette ancora la Viola in una condizione da bollino rosso. Del resto, sono trascorse appena nove giornate. Eppure, la zona retrocessione è più vicina rispetto ai sette posti per accedere all’Europa.

Non tanto un allarme, bensì un fattore che lascia intendere che qualcosa (e anche di più), in questo inizio di campionato, non ha funzionato. La priorità è evitare la peggiore delle ipotesi, ovvero farsi risucchiare nel turbinio di risultati negativi e non riuscire a cambiare la propria condizione psicologica. Servono tre punti, che sarebbero vitali, ma la Fiorentina è attesa da un impegno spinoso.

Lecce è un teatro caldo, passionale, una scenografia tutt’altro che comoda per gli ospiti. Baroni gestisce un gruppo che, almeno fino a questo punto, sta dimostrando di poter lottare per la permanenza in Serie A. La partita, per la Fiorentina, è ampiamente alla portata (almeno sulla carta); la variabile interveniente che complica maggiormente la missione viola è l’ambiente che si troverà contro. E anche se non sarà l’unica insidia, c’è un imperativo: ritrovare sé stessi, anche in campionato. Al più presto. E scappare il prima possibile da quella nefasta zona di classifica.

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