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Guardiamoci in faccia. Proviamoci. Guardiamo nostro figlio in faccia, proviamoci. Non ci scandalizziamo se al grido ‘devi morire’, qualcuno poi muore davvero. Non parliamo di coro goliardico. Parliamo del coro, che fa schifo in generale. Perché poi siamo gli stessi che intoniamo i cori sull’Heysel. Vi è mai capitato di parlare con un figlio di uno scomparso in quel tragico 29 maggio 1985? A me si. E mi sono vergognato. E ho pianto mentre lui parlava. Ma davvero nelle nostre vite di tutti i giorni siamo così? Davvero crediamo che, oggi come ieri, sia giusto dentro uno stadio poter fare e dire tutto quello che si vuole? Anche augurare la morte, inneggiare ad un ponte crollato, ad un vulcano che distrugge intere famiglie, ad una alluvione che spazza via tutto. E non c’entra Firenze, Roma o Milano. Non c’entra il tifo. C’entrano le persone. Davvero le sopportate ancora persone così, che dicono certe cose, che pensano certe cose? Davvero ce la fate. Io non più. A tutti noi è morto qualcuno di caro, a tutti noi ne moriranno altri di cari, e temo che anche noi un giorno ce ne andremo. Non scherziamo con la vita, né con la nostra né con quella degli altri. Salviamo il calcio, lo sport, il pallone. Certo, tutto quello che vediamo attorno e fuori dagli stadi non ci aiuta, ma cominciamo noi. Cominciamo da quello che ci piace di più. Cominciamo a dire ‘No’, Magari proprio da Firenze, la città che ha smesso di applaudire nei minuti di raccoglimento, la città che ha regalato emozioni e brividi dopo la scomparsa di Astori, la città più bella del mondo, come diciamo noi. Ecco diventiamo anche persone belle, o almeno non mostruose. Come quello che alle volte ci esce dalla bocca. ‘Dovremo sempre chiederci se quello che stiamo facendo migliora e arricchisce la nostra esistenza’, lo scriveva Tiziano Terzani. Fiorentino come noi.


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