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In questo momento la metafora con cui si potrebbe descrivere la Fiorentina è quella di un povero sciatore malcapitato, travolto da una valanga di neve che si va ingrossando sempre di più nella sua discesa, salvo però non arrivare mai a valle. E c'è una data che determina l'inizio di questa rotolata inesorabile: è quella del 9 aprile 2019, data in cui Stefano Pioli dette le dimissioni. Cosa c'entra Pioli? Con la Fiorentina di oggi niente effettivamente ma è da quel giorno che la squadra viola ha smesso di essere gruppo, di essere "squadra" nel vero senso della parola. Quei giocatori lì erano tenuti insieme da un 'manico', oltreché dai postumi della perdita di Astori, nonostante una società ormai allo sbando e sulla via dei saluti.

Da lì in poi prima Montella, poi Iachini e ora Prandelli (che ovviamente ha tutte le scusanti del caso): in 3 si sono alternati alla guida di un non-gruppo, di una non-squadra, prontissima a sciogliersi alla prima difficoltà, incapace di trovare dentro se stessa la forza per reagire, sintomo forse anche di scarsa personalità, scarso attaccamento o chissà cos'altro. Per alcuni si parla di paura, per altri di pressione e vien da ridere, considerando che il patron ha parlato tuttalpiù di miglioramento del decimo posto o di parte sinistra della classifica. Di calciatori se ne sono alternati tanti per altro, tutti con il comun denominatore di farsi travolgere dalla mediocrità in cui versa mentalmente la Fiorentina da due stagioni abbondanti. Resta complicato il lavoro di Prandelli, complicatissimo anzi, perché qui non si parla di insegnare un movimento, uno stop o una diagonale ma siamo su livelli ben più alti, dove vanno riaccese tutte le teste di questo non-gruppo, pena un impatto molto doloroso quando la valanga arriverà a valle.


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