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Siamo pronti ad innamorarci di nuovo? ‘Innamorarsi’, nel calcio moderno, è ormai diventata un'impresa, con calciatori che al massimo restano due anni in una squadra, attaccanti che lasciano alla prima stagione buona e soprattutto numeri dieci che non sono più delle bandiere. Negli ultimi anni, a Firenze, la ‘10’ è passata di tante spalle, vestendo prima quelle di Castrovilli e poi Gonzalez. Ora, il secondo è pure finito alla Rivale di Sempre, mentre il primo non era stato confermato a causa di un'altra grande questione del calcio di oggi. Gli stipendi. Ma non è questa la sede giusta per discuterne.

Qualcosa di speciale

Oggi vogliamo parlare del fatto che, la Fiorentina, potrebbe aver ripescato un ottimo numero dieci dopo tanti anni. Attenzione, non che Nico non fosse ‘bono’, ma non sempre accendeva il pubblico come Gudmundsson faceva ogni volta a Marassi la scorsa stagione. La prima con la Lazio è stata stupefacente. Non capita certo tutti i giorni di trovare un giocatore che alla prima occasione decide da solo il suo esordio. E Gud  in campo non fa solo gol. Vederlo giocare dal vivo è emozionante. L'ex del Grifone danza con la sfera fra i piedi, riportando agli occhi di chi lo osserva una sensazione d'altri tempi. Di palloni di cuoio e calzettoni abbassati; di colpi di suola e sguardi a testa alta. Non sarà certo un ragazzo che gioca guardando le stelle, ma nel suo piccolo l'islandese è speciale.

Qualcosa di grande

Gudmundsson non gioca a calcio come gli altri. C'è una netta differenza fra come tocca il pallone lui e come lo fanno i difensori; come lo guardano gli avversari quando gli passa davanti. Quelli della Lazio lo seguivano a trenino, ne portava due, tre a spasso, lasciandoli in una parte di campo che non competeva loro e faceva in modo tale di accomodare anche la giocata del compagno dopo. Probabilmente, un po' come Guardiola, Gudmundsson vede delle linee, in campo, che noi “umani”, meno fantasiosi, non possiamo scorgere. Riesce a capire quando è il momento giusto per affondare il colpo; dove farsi trovare per ricevere la sfera; da quale lato girarsi per superare un avversario. Insomma, Albert non è uno dei tanti. E, forse, a Firenze, uno-così, non si vedeva dai tempi di Adrian Mutu. Un altro fenomeno con problemi extra-campo che non aveva bisogno di spiegazioni. Per loro, è il pallone a parlare.

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