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Kean arrivato al Viola Park. Credits: acffiorentina
Kean arrivato al Viola Park. Credits: acffiorentina

L’ultima edizione di Rivista Undici ha realizzato un approfondimento specifico sul centravanti della Fiorentina Moise Kean, intitolandolo: “Il rinascimento di Moise Kean”, con sottotitolo: “Il passaggio alla Fiorentina e la fiducia di Palladino ci hanno restituito un attaccante dal gioco vario ed efficace”. Di seguito l’analisi della rivista sul calciatore gigliato arrivato questa estate dalla Juventus.

‘Kean ha sempre portato con se l’ambizione, gli è stata cucita addosso fin dall'inizio della sua carriera'

“l leitmotiv di Moise Kean, nei suoi primi giorni come giocatore della Fiorentina, è stato questo: «Ho scelto Firenze per l’ambizione. Il futuro è adesso». Queste parole le ha dette lui stesso ai canali ufficiali del club viola l’8 luglio scorso, e un fondo, a pensarci bene, l’ambizione Kean l’ha sempre portata con sé, anche perché gli è stata cucita addosso fin dall’inizio della sua carriera. Basti pensare che sono già passati otto anni dalle sue prime apparizioni con la Juventus, una Juve nel pieno del suo ciclo dominante. E quel Kean, che alla sua terza partita in Serie A divenne il primo giocatore nato nel 2000 a segnare in uno dei cinque campionati top in Europa (era l’ultima giornata della stagione 2016/17, Bologna-Juventus 1-2), aveva tutte le carte in regola per diventare il nuovo volto del calcio italiano. Perché era giovanissimo, naturalmente, ma anche fisicamente devastante, manifestava un evidente fiuto del gol e una buona tecnica di base. Insomma, sembrava pronto a bruciare le tappe e a prendersi tutto”.

“La storia, però, è andata diversamente. Negli anni successivi, Kean ha reso poco o comunque è stato discontinuo, fino a finire risucchiato in una parabola discendente che sembrava senza fine. Colpa, forse, di alcune scelte non proprio lungimiranti, viste col senno di poi. Su tutte il trasferimento all’Everton nel 2019: certo, da un lato c’era la possibilità di misurare le proprie ambizioni alla prova della Premier League, ma evidentemente la squadra blu di Liverpool non era quella giusta per lui. E infatti Kean ha chiuso la sua esperienza inglese col misero bottino di due reti in trentuno presenze. La mossa successiva, quella di trasferirsi al Paris Saint-Germain, è stata redditizia per metà: è vero che in Francia si è vista forse la miglior versione di Kean (17 gol in 41 partite di tutte le competizioni, di cui 28 da titolare), ma il livello della concorrenza era decisamente troppo alto per garantirgli la continuità di cui aveva bisogno”.

‘È tornato alla Juventus ma ha finito col toccare il fondo, 0 gol in 20 presenze’

“E così Kean è tornato a casa, alla Juve. Solo che il club che ha (ri)trovato era molto diverso da quello che aveva lasciato: nel secondo ciclo di Allegri, immerso nelle torbide acque in cui navigava la società e con difficoltà evidenti nel gioco offensivo, Kean è sembrato quasi sempre fuori posto. Non ha trovato stabilità, non ha trovato i gol, non ha trovato nemmeno una posizione definita in campo: a volte Allegri lo ha schierato da punta pura, altre volte lo ha spostato sull’esterno, molto spesso è partito dalla panchina. La smania e l’affanno di dover dimostrare di poter essere decisivo, per altro con poco minutaggio a disposizione, ha finito sopraffarlo. E lo ha fatto toccare il fondo: la stagione 2023/24 è terminata con zero gol in 20 apparizioni. Un dato drammatici per quello che, in fondo, era ancora percepito come un attaccante”.

“All’inizio dell’ultima estate, Kean è un giocatore in evidente regressione. Che forse non ha saputo reggere l’enorme pressione a cui è stato sottoposto fin da quando era un ragazzino, che di certo ha sbagliato qualche scelta. Ma che non ha mai giocato in una squadra disposta a dargli continuità e una fiducia senza condizioni. In una situazione del genere, è inevitabile, la scelta più sensata era quella di andare via. E a questo punto l’occasione di trasferirsi a Firenze appare come un fresh start, cioè come un potenziale nuovo inizio, come un modo per rimettersi in discussione in una squadra ambiziosa, certo, ma anche giovane. E che comporta meno pressioni rispetto a quanto succede alla Juve. Infine, ma non in ordine di importanza, questa squadra gli ha offerto la centralità, la fiducia, gli appoggi di cui aveva bisogno. In campo, ma anche fuori: «Alla Juve», ha raccontato Kean, «Vlahovic mi ha sempre parlato benissimo di Firenze. Mi ha detto che la città gli ha dato la svolta, soprattutto grazie ai tifosi, e alla gente che aveva intorno, che l’amava tantissimo»”.

Kean coglie l’opportunità, e a Firenze è come se fosse rinato. Lo testimonia in primis il dato dei gol segnati: cinque in undici presenze tra Serie A e Conference League. E se è vero che alcune delle avversarie contro cui è andato a segno non erano proprio irresistibili, è proprio andando oltre il dato numerico che si scopre quanto l’arrivo a di Kean abbia giovato a lui come alla Fiorentina. Il tecnico Palladino, infatti, ha vissuto un’estate movimentata: la dirigenza viola ha deciso di stravolgere l’organico, a partire dall’attacco. E così a Firenze sono passati dall’alternanza tra Nzola, Belotti e Beltrán alla stabilità del nuovo asse Kean-Gudmundsson. E così, dopo un inizio balbettante, la Fiorentina sembra aver trovato la formula giusta. Kean è un fattore fondamentale in tutto questo processo: il nuovo centravanti viola garantisce a Palladino la capacità di venire incontro a chi costruisce l’azione, difendere palla e giocare spalle alla porta, ma anche un costante attacco alla profondità. Grazie a Kean, quindi, la squadra viola adesso può risalire il campo anche con un semplice lancio lungo: un’alternativa importante rispetto al possesso palla orizzontale in cui troppo spesso ristagnava la Fiorentina di Vincenzo Italiano, specie contro le squadre più chiuse”.

“I dati di questo inizio di stagione dimostrano quanto Kean stia beneficiando della fiducia riposta in lui da Palladino: intanto ha già giocato più minuti nelle prime undici presenze in con la Fiorentina (831) che in tutta la scorsa stagione (659), ma la statistica più importante è quella sul numero di tocchi di palla, riferita ai match di campionato (199 in 8 gare contro 196 in 20). C’è un dato, però, che in qualche modo evidenzia quali possano essere i margini di miglioramento: stiamo parlando del rapporto tra gli expected goals prodotti, che sono 4.8 se guardiamo alle gare di Serie A, e le sole due reti effettivamente segnate. Kean, insomma, continua a non essere un cecchino, non ha ancora affinato quel killer instinct che fa la differenza tra un buon attaccante e un grandissimo finalizzatore. L’esempio perfetto di questo concetto è la prestazione di Kean contro il Milan, nella gara giocata il 6 ottobre scorso e vinta dalla Fiorentina per 2-1: Moise ha giocato una partita dispendiosa e di grande sacrificio, offrendo ai suoi compagni appoggio costante e consentendo alla sua squadra di salire con diversi strappi in avanti. Però ha sbagliato il rigore del potenziale 1-0 e ha colpito una clamorosa traversa nel finale. Come dire: la strada intrapresa è quella giusta, ma manca ancora qualcosa”.

“I gol segnati contro Atalanta, Monza e The New Saints, però, mostrano come Kean sia un attaccante capace di posizionarsi posizionato nel modo giusto per ribadire in rete un assist o una respinta. Per trovare quel guizzo che nelle ultime stagioni gli era sempre mancato. Nello stesso modo ha ritrovato anche il gol in Nazionale, nell’impegno di Nations League contro Israele. Il gol con la maglia azzurra gli mancava da ben tre anni, dalla doppietta contro la Lituania del 9 settembre 2021. Perché anche Spalletti, come Palladino, ha ridato fiducia a Kean, e Kean è stato in grado di ripagarlo. Insomma, i dati e le sensazioni dicono che il passaggio alla Fiorentina ci ha permesso di ritrovare un giocatore che sembrava perso. Anche in chiave-Nazionale. È una bella notizia, è una bella storia: in fondo Kean è stato un campione precoce sommerso da enormi aspettative, quindi da enormi pressioni. Non è riuscito a sopportarle nel modo giusto, ok, ma ha solo 24 anni: il tempo è dalla sua. Il passaggio a Firenze forse può essere percepito come un passo indietro a livello di status, ma gli ha permesso di tornare a divertirsi, di tornare a fare gol, di tornare a ballare il griddy. A dimostrazione del fatto che la fiducia, spesso, fa tutta la differenza del mondo”.


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