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Lunga intervista da parte del ds viola Nicolas Burdisso all'emittente TNT Sport Original, dove l'argentino ripercorre alcune tappe della sua carriera, soprattutto quelle iniziali:

"Quando sono uscito dal Boca c'era uno spogliatoio molto vincente e con grande spirito di gruppo, con gente di personalità. Mi sentivo a casa in quel club, di cui per altro sono tifoso. Avevamo la leadership di Carlos (Tevez ndr) che rendeva tutto facile, che mi faceva notare come a 22 anni fossi già stato campione della Libertadores. Quando freni un attimo il ritmo ti rendi conto della grandezza di quello che hai fatto".

La stagione del debutto: "Venivo da 3 partite di fila in panchina, avevo 18 anni e sentivo che Bianchi (l'allenatore ndr) era interessato a me. Quando ebbe la possibilità di farmi debuttare, lo fece. Il giorno del debutto è indimenticabile, mi ricordo che passando di fianco all'ufficio di Bianchi mi urlò: "Nicolas, tocca a te!". Fu fantastico perché mi evitò la pressione dei giorni precedenti. Il calcio è in evoluzione costante, è questione però ancora di psicologia nei rapporti tra gli allenatori e i giocatori. Per quelli come me, è meglio non sapere in anticipo la notizia dell'esordio perché poi avrei cominciato a giocare mentalmente la partita 3 o 4 volte. Ad altri magari più superficiali, una notizia del genere è più utile darla in anticipo così da accendere la loro attenzione al punto giusto".

E poi il rapporto con la critica: "Ognuno si approccia in modo diverso al calcio, ci sono quelli a cui le critiche danno forza e stimoli, altri che invece restano annichiliti. Credo alla psicologia nel calcio, l'aiuto di un professionista serve per schiarire e riordinare le idee. Ho sempre pensato che mi potesse farmi comodo. Ho passato dei momenti anche duri o forti, con frustrazione, nessuno è preparato alle situazioni difficili. Le prime critiche? Dopo una sconfitta sul campo del Newell's, perdemmo 1-0, giocammo molto male ma avevo giocato 7 partite in prima squadra e quando mi arrivava la palla mi arrivavano un sacco di insulti. Lì ho capito che non potevo più essere giocatore-tifoso, ero un professionista. Con i miei sentimenti per il Boca però non ero più un tifoso perché i tifosi non si mettevano nei miei panni. Piano piano mi ci sono abituato".

E infine la capacità di adattamento: "C'è un punto focale che è la capacità di adattamento a ogni soluzione che il tecnico sta cercando. Tocca adattarsi, io ho debuttato da terzino destro anche se ero centrale e da centrale ho giocato per tutta la vita. Però avevo visto che da laterale avevo la possibilità di debuttare. Quando capivo cosa mi chiedeva Carlos lo facevo. Se mi fossi fossilizzato solo sul giocare da centrale, magari non avrei esordito".

Il ruolo da ds? "Oggi sono nel mondo del calcio in un'altra ottica, non più in campo, ma le partite restano uno stato d'animo. Nel mio ruolo ti chiamano perché tu dia risposte, perciò devo essere preparato. Guardo tanto e cerco di analizzare il calcio, per fornire profili di allenatori e di giocatori. Il club reste sempre più importante, scegliere l'allenatore è fondamentale perché si incarica di portare avanti il progetto tecnico. I dirigenti sono quelli che stabiliscono un obiettivo".


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