Spagnolo a FN: "L'emorragia di tifosi dagli stadi non si ferma più. L'inchiesta di Report mi disgusta ma..."
Settimana "calda" per il mondo delle curve. Per analizzare meglio il gemellaggio tra Fiorentina e Torino e il caos legato al mondo Juve, Fiorentinanews.com ha intervistato Pierluigi Spagnolo, giornalista de La Gazzetta dello Sport e autore di "I ribelli degli stadi, una storia del movimento ultras italiano".
Da estremo conoscitore del mondo degli stadi, come giudichi lo svuotamento degli impianti in questo inizio di stagione? Solo causa di Sky e Dazn?
Il calcio trasmesso in tv a tutte le ore, tutti i santi giorni, dalle amichevoli estive fino alla Champions League, ha finito per svuotare progressivamente gli stadi. Negli anni 70-80-90, dalla Serie A alla Serie C, gli stadi in Italia erano sempre pieni, nonostante fossero indubbiamente più pericolosi di oggi. Se in più aggiungiamo, che per favorire i palinsesti delle pay tv, si gioca tutti i giorni, spesso in orari insoliti e scomodi, e che i biglietti dello stadio costano sempre di più (in Serie A per una curva si spendono dai 20-25 euro fino ai 50-70 euro, per le partite più importanti) riesce facile comprendere perché oggi si faccia fatica a riempire stadi come l'Olimpico e il San Paolo, in passato sempre gremiti. D'altronde, i dati lo dimostrano. La fuga dagli stadi è cominciata - progressivamente - dalla metà degli anni 90, proprio con lo sbarco in Italia della pay tv (la prima partita di A fu Lazio-Foggia, ad agosto del 1993). E l'emorragia di tifosi in fuga dagli stadi non si è più fermata.
Entrando nel vivo della polemica, come si può giudicare ciò che Report ha messo sotto gli occhi di tutti? La società che vive, conosce e aiuta la propria tifoseria ad avere atteggiamenti offensivi e li protegge, è una questione legata al mondo della Juve o si è verificata anche in passato da altre parti?
Non entro nel merito dell'inchiesta della magistratura, così ben raccontata da Report, perché non ho elementi per giudicare, non conosco le carte ma solo ciò che ho letto dai giornali o visto in tv. Torno però a ribadire un concetto. Quando il calcio si trasforma da sport popolare, da rito collettivo, in un grande spettacolo, in una macchina da soldi, in grado di produrre immensi fatturati, finisce per fare gola alla criminalità, che vede nel calcio un business, esattamente come lo sono le grandi opere, l'industria del divertimento o della ristorazione. Dove girano molti soldi - e nel calcio girano indubbiamente molti soldi - si finisce per ritrovarci soggetti criminali interessati a fare affari, che si infiltrano al di là della passione e del tifo. Quindi mi disgusta, ma non mi sorprende, il dover scoprire che le mafie, nelle varie forme, possano da anni aver messo le mani su alcuni settori del calcio, nelle curve o nelle società. Giovanni Falcone diceva: "Segui il denaro e troverai la mafia". Il calcio-business di oggi produce quantità infinite di denaro, fa gola alla malavita, finisce per diventarne ostaggio, anche attraverso le infiltrazioni nelle curve. Ma gli ultras sono un'altra cosa. Un ultras può finire nei guai perché fa a botte con un tifoso avversario, perché fa casino allo stadio... Ma se finisce nei guai perché ha taglieggiato il suo club, o perché lucra sulla passione di altri tifosi, beh, allora non è un ultras ma è un delinquente comune.
Le curve vivono “a braccetto” con le società? Perché sentire di biglietti “passati” a membri degli ultrà fa strano e si scinde completamente da quella che è cosiddetta “mentalità”.
Una volta, essere ultras significava vivere la propria passione da tifoso ribelle, quindi senza scendere a patti con la società e le istituzioni, senza aiuti o legami di alcuni tipo. Era motivo di vanto organizzare trasferte di massa o grandi coreografie senza alcun tipo di aiuto, di sostegno economico e senza aver chiesto autorizzazioni. Ma molte cose, mi rendo conto, nel corso degli anni sono cambiate, anche perché oggi la "repressione" del fenomeno ultras è arrivata a livelli tali per cui, anche solo per esporre il proprio striscione, serve chiedere un permesso.
Mister Stefano Pioli, in una recente intervista, ha detto che l’Italia è un paese che ha da migliorare tante cose quando va allo stadio parlando anche di cattivi atteggiamenti. Come giudichi questa frase?
Dipende da cosa si intende per "cattivi atteggiamenti". Se si parla di violenza, di becerume e razzismo, allora sì. Credo però che molto spesso, presi da pulsioni perbeniste e moraliste, per condannare e arginare (com'è giusto che sia) la violenza negli stadi, abbiamo finito per condannare il tifo nel suo complesso, anche i suoi aspetti più spontanei, goliardici, passionali. La naturale esuberanza del tifoso ha finito per essere criticata al pari della violenza, con la pretesa di trasformare gli stadi in teatri, le curve in salotti. Non sarà mai così, perché lo stadio non sarà mai una chiesa o un teatro. Il calcio è uno sport davvero popolare, l'unico in grado di accendere la passione di decine di milioni di italiani. Quindi è giusto fermare i violenti, criticare gli eccessi. Ma per cortesia, non addomestichiamo persino le curve degli stadi.