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I più grandi club della storia del calcio sono stati guidati tradizionalmente da gestori, più che da allenatori, intesi come "maestri della tattica o del fondamentale tecnico", spesso reduci da carriere folgoranti anche da calciatori o alternativamente grandi maghi della dialettica e della motivazione. Di esempi ce ne sono a bizzeffe, da Zidane a Guardiola sul primo fronte a Klopp e Mourinho sul secondo. Perché in fondo, a gente come Messi, Mbappè, Ronaldo o Lewandowski cosa vuoi insegnare dal punto di vista tecnico?

Poi però ci sono le realtà che i fenomeni già pronti e maturi non ce li hanno e a cui serve un tipo di organizzazione che non può consistere solo nella motivazione o nella grande credibilità costruita dal proprio tecnico nel corso della carriera da calciatore. E' un po' il caso della Fiorentina, che oltre al nome internazionale ha bisogno di un allenatore abituato a lavorare in realtà di medio rango, magari anche con ambizioni di crescita e grandezza. Spesso, erroneamente, si tende a fare la semplice deduzione per cui a grande ex giocatore corrisponda sicuramente anche un grande tecnico sulla panchina: tante volte il ragionamento si avvera ma non è così automatico. O almeno non necessariamente a inizio della nuova carriera.

Ecco perché, con tutta l'ammirazione che si può avere per Daniele De Rossi, una volta appesi gli scarpini al chiodo la sua base di credibilità come allenatore è ancora troppo bassa (o meglio ancora tutta da costruire) per poter permettere alla Fiorentina di effettuare una scommessa a occhi chiusi su di lui. Alla squadra viola serve un tecnico già formato, che dia garanzie da subito, che abbia anche il nome importante ma che NON sia una l'ennesima scommessa.


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